Disforia di genere
Da quando Ippocrate, nel V secolo avanti Cristo, ha incluso il travestitismo nel suo elenco delle malattie mentali, i comportamenti e le esperienze sessuali sono stati sottoposti all’esame e alla tipizzazione della medicina. Questo sforzo si è rivelato poco risolutivo e di parziale successo. Il fatto che una società includa o escluda particolari variazioni della sessualità da ciò che considera normale ha reso ancora più ardui i nostri tentativi di comprendere le diverse sessualità e i nostri sforzi per aiutare le persone che soffrono a causa della propria psicologia sessuale. Differenziare gli stati patologici dalla normale variabilità della sessualità umana è un compito reso ancora più complicato dalla popolarità o dalla demonizzazione che una certa diagnosi può acquisire in una certa società e in un particolare periodo storico, da teorie che fanno generalizzazioni sull’esistenza di obiettivi biologicamente determinati della maturità applicabili a tutti gli individui e dai fenomeni di fluidità e adattamento , che possono dare vita a diverse risposte sessuali nelle diverse età e nelle diverse situazioni.
La storia diagnostica e sociale della disforia di genere è breve ma movimentata. La quinta edizione del DSM introduce cambiamenti importanti, a partire dalla scelta di una nuova etichetta diagnostica, dove il termine disforia sostituisce quello di disturbo. Inizialmente, era stato proposto il termine incongruenza di genere per caratterizzare l’aspetto nucleare della disforia, ossia un’incongruenza tra l’aspettativa di vita basata sul sesso di nascita e l’identità esperita e/o espressa. Con disforia di genere si vuole, invece, sia sottolineare la componente emotiva dolorosa e angosciante legata al genere di nascita sia ridurre la portata patologizzante della diagnosi.
Al di là delle etichette diagnostiche, che seppur migliorative restano comunque stigmatizzanti, ciò che in un ottica psicodinamica assume un interesse cruciale sono le esperienze interne e i vissuti soggettivi delle persone che presentano una disforia di genere.
All’osservazione clinica, i pazienti con queste problematiche rivelano spesso uno stato acuto di stress e disagio. Gli stati affettivi spesso includono un umore depresso, fino a raggiungere sentimenti di vera e propria disperazione. Sentimenti negativi e aggressivi verso parti del corpo che connotano il genere sono molto comuni (ad es. “odio il seno e vorrei eliminarlo”). Gli individui che occasionalmente indossano vestiti dell’altro sesso raccontano di sentirsi internamente diversi quando sono vestiti da uomo o da donna.
Fonti:
American Psychiatric Association (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta edizione. DSM-5. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2015